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21 marzo 2018

LA FORMA DELL'ACQUA

 

"Camminava per Oxford Street con in mano una cartellina di plastica comprata da Sainsbury's. Nella cartellina c’era un mazzetto di curriculum vitae dai contenuti inventati. Ne lasciava uno in ogni negozio, dicendo: are you hiring? Intanto la pioggia batteva sulle spalle della sua camicia buona ormai fradicia. Erano le quattro del pomeriggio, camminava da più di due ore e nessuno ancora gli aveva risposto di sì".

Sembra l'inizio di un capitolo di un tascabile di quinta categoria, vero? Invece, a parte il particolare della pioggia inventato, per quanto veridico (mi serviva un tocco di dramma) questo ero io pochi mesi fa.

In realtà quel giorno, me lo ricordo, splendeva il sole a Londra. Raro ma vero. Piove nel tuo cuore però quando ti ritrovi a pensare di essere caduto un po' in basso. Dal premio Massimini, al disperato tentativo di trovare un lavoro qualsiasi, il passo era stato breve. In poco meno di sei mesi tutte le mie sostanze erano state assorbite dalla capitale britannica come un terreno brullo assorbe l’acqua.

Un momento però: non è volgare parlare di denaro? Ci hanno sempre detto così, no?

La prima cosa che ho imparato qui è che "disimparare" si può, si deve ed è un gran valore, quindi: parliamone. Parliamone pure.

Milletrecento sterline di affitto al mese, cento sterline circa di council tax, centotrenta sterline in media per i mezzi pubblici; più le spese vive che ti restano in Italia (assicurazioni varie, fondo integrativo, macchina ecc…). Per non parlare del fatto che centocinquanta grammi di pollo a Londra costano in media tre sterline e mezzo. Per uno che fa spesso una dieta iperproteica è una tragedia epocale.

Che lo show-business londinese non mi spalancasse le braccia, potevo aspettarmelo; che mi prendesse a calci in culo, ecco: questo no. Tranquilli, tutto è andato per il meglio. Ho fatto un corso di regia, ho diretto piccoli copioni, fatto doppiaggio, fatto più concerti qui che una vita in Italia, ho perfino insegnato recitazione. Al momento sono in prova con un nuovo musical dal titolo FREE SOLO. Interpreto il protagonista della storia, uno scalatore di nome John Robinson. E' una piccola produzione, ma sta accendendo parecchio interesse qui dove l’interesse si spegne coi tempi di un fiammifero. Non vi racconterò le sofferenze attraverso le quali sono dovuto passare per raggiungere questo piccolo grande traguardo. Le umiliazioni. Le porte in faccia. Il costo delle lezioni di dizione (specialmente il "costo" emotivo). Perché non è interessante. Quello che è più interessante oggi è raccontarvi com'è andata a finire quel pomeriggio.

Ad un certo punto entro in un negozio che si chiama Whittard of Chelsea. Qui a Londra è un brand di tea molto conosciuto, forse il più famoso. Lascio il cv. Mi richiamano e inizio a lavorare lì a luglio.

La mia manager si chiama Marianna. E' italiana. E, credetemi: è una delle persone più in gamba che io abbia mai incontrato. Talmente seria e professionale, talmente "sul pezzo", così autorevole senza essere autoritaria, una di quelle che arriva per prima e se ne va per ultima, mi spiego? Marianna mi ha insegnato un concetto meraviglioso e cioè che la creatività è una specie di dea organica e puoi adorarla in qualunque tempio. Marianna è appassionata di musica e teatro. Marianna lavora la terracotta e lo fa con la stessa passione con cui ci sprona a tenere il negozio pulito e ordinato. Marianna è stata la mia cura. Marianna mi ha insegnato che vendere tea, caffè e cioccolate può essere un atto creativo molto remunerativo. Ma, soprattutto: Marianna mi ha involontariamente aperto la mente sul sacro rituale del tea.

Voi lo sapevate che la pianta del tea è una sola? Io non lo sapevo. Ho vissuto tutta una vita credendo che esistesse una pianta con le foglie nere, una con le foglie verdi e perfino una con le foglie bianche. Invece no. La pianta del tea è una. E a seconda di quanto le sue foglie si ossidino se ne può ottenere tea nero, verde, bianco e varie vie di mezzo.

I tea possono essere aromatizzati. E, per favore, non prendeteli con il limone (a parte l'Earl Grey). I tea non aromatizzati, come l'English Breakfast, si prendono con il latte. E sono maledettamente buoni. Specialmente in foglia sciolta. Avete presente quelle bustine che si comprano al supermercato? Dimenticatele. Quelle sono una pallida imitazione del tea. Foglie sciolte e un buon infusore. E il gioco è fatto.

Il tea nero si lascia in infusione cinque minuti, non di più. Il tea verde e il tea bianco tra i tre e i cinque minuti, a seconda dei gusti. Il tea è antiossidante, benefico per il corpo e per l'anima. Stringere una tazza di buon tea caldo è un toccasana, è un tesoro, è una coccola a cui non so più rinunciare.

Aspettate però. Sto qui a scrivere questo blog per raccontarvi quello che ho imparato sul tea? No.

Sono qui per raccontarvi quello che ho imparato sul vendere il tea.

Ho sempre creduto che fare l'attore fosse un lavoro duro. Il più duro di tutti. Confermo: è un lavoraccio. Come fare il medico o l'avvocato o il cuoco. Ma se pensiamo che sia la professione più dura al mondo, non abbiamo mai provato a fare i commessi (o, come si dice da queste parti: sales advisor).

Creatività, dicevamo. Marianna è molto più creativa di me. Perché avere a che fare con i clienti e continuare a sorridere richiede un'inventiva di cui non mi credevo capace. Forse non ne sono ancora capace. Marianna sì. Marianna è bravissima. Non sbaglia un colpo. E' se stessa, è sicura, padrona, non si vergogna del suo accento italiano. Chissenefrega! Spigliata, svelta, brillante, Marianna è la mia guida creativa verso il sacro mestiere del venditore.

All'improvviso, muovendo i primi passi nel mondo del negozio, mi rendo conto di quanto siamo stronzi.

Noi, quando entriamo in un negozio e spendiamo del denaro, diventiamo degli stronzi inenarrabili. Arroganti, imbecilli, portatori sani di domande del cazzo che non faremmo mai nella vita in situazioni normali.

Vi elenco una buona lista di domande - vere - che alcuni clienti mi hanno proposto:

"Mi scusi: quanto misura il diametro di questo piatto?"

"Una volta che ho fatto l’infuso, poi le foglie posso mangiarle?"

"Quanti grammi di caffeina ci sono in questo caffè?"

"Posso avere un cappuccino senza caffè?"

"Posso avere del tea inglese?" (il tea inglese non esiste)

"Posso fare la cioccolata calda con l’acqua?"

"Posso avere dieci buste gratis?" (a fronte di una scatola di tea acquistata)

"Questo cioccolato è fatto con il tea?"

Ma la frase migliore di tutte, quella che proprio mi fa godere per quanto è improbabile, è: "vorrei del tea". Ma va? Davvero? In un negozio di tea che ne vende 240 tipi diversi? E com'è possibile?

Quando entriamo in un negozio noi cambiamo idea venti volte. Noi prendiamo un prodotto, lo roviniamo e poi lo abbandoniamo in uno scaffale che non è il suo. Noi ci aspettiamo che il commesso abbia la palla di cristallo e indovini cosa vogliamo senza dargli indizi sufficienti. Noi stressiamo il commesso con diecimila richieste e poi abbandoniamo il negozio senza prendere nulla. Noi non diciamo né grazie, né per favore. A volte nemmeno salutiamo. Noi parliamo al telefono o mangiamo un hamburger mentre il commesso sta facendo del proprio meglio per accontentarci. Noi non consideriamo che il commesso è in piedi da otto ore e ha già servito un centinaio di persone prima di noi. Noi non consideriamo che spesso il commesso deve anche pulire, rendere conto dei suoi sforzi a qualcuno che gli sta col fiato sul collo, tenere d'occhio il negozio per evitare i furti, stare attento a dare i resti. Noi non consideriamo che il commesso è un essere umano con una vita e dei sentimenti, non uno schiavo piegato alle nostre volontà. Noi non consideriamo che i commessi siamo noi. Sono le nostre mamme, i nostri fidanzati, i nostri amici.

Non lo dico a caso. Mia madre ha fatto la commessa per quarant'anni, forse di più. Non capivo mai perché si lamentasse così e perché avesse quei dolori alle gambe. Ho anche avuto un compagno che faceva questo mestiere. Era spesso stanco e nervoso e io? Io non lo capivo. Io ero un egocentrico, arrogante convinto che il proprio status di artista fosse una condizione di cui il mondo avesse bisogno più di ogni altra cosa. Mi sbagliavo. Ah, quanto mi sbagliavo.

Ho lavorato alla Whittard Of Chelsea per tre mesi. Poi le cose hanno ricominciato a girare. Ho chiesto le dimissioni. Non mi hanno lasciato andare.

"Visto che sei bravo e ci teniamo a te, ti proponiamo un contratto a zero ore. Vieni a lavorare quando puoi, ti va?"

Non avevo nulla da perdere. Dentro di me pensavo: ma va, figurati se ci torno. E invece, pensate che cosa è successo? Tra le mie mille attività, gli spettacoli, i provini, le scuole di recitazione, la regia, bla bla bla bla bla e vari bla… Marianna mi mancava. Mi mancava quella solidità, quella scuola di pazienza, quel senso di mission impossible, di lavoro di squadra. E ci sono tornato. Ogni tanto ci torno. Perché mi piace, mi sfida, mi sfianca. E mi fa sentire più vicino agli altri. A tutte le persone dietro al bancone che non ho mai capito abbastanza. Oggi, quando entro in un negozio, sto molto attento. Guardo negli occhi, sorrido, ho molta cura di chi mi sta aiutando negli acquisti. Quando sento il dolore ai piedi e alle ginocchia la sera, capisco mia madre. I suoi pianti, i suoi sacrifici per mandare avanti la baracca. Mamma, se sei tra i miei ventinove lettori: ti chiedo scusa per non averti capito.

Per questo se tornassi indietro lo rifarei. Mille volte.

Perché lo tiro fuori ora?

Vi spiego. Sto leggendo un libro che si intitola THE BIG MAGIC di Elizabeth Gilbert (la stessa autrice di MANGIA, PREGA, AMA). Liz - ormai siamo amici - dice che se vogliamo scrivere davvero, dobbiamo scrivere per noi stessi. Per me stesso io avevo bisogno di superare il blocco della vergogna. Avevo vergogna di dire apertamente che a Londra ho fatto anche il commesso. Non avevo mai fatto nient'altro nella mia vita se non l'artista. Eppure la stessa Elizabeth Gilbert ammette di non aver mai lasciato il suo secondo lavoro almeno per i primi tre libri pubblicati. Quindi ecco: lo sto scrivendo. Ho fatto il commesso. E non me ne vergogno più.

Non ho fatto tutto da solo però. Devo ringraziare un attore, un certo Josh Harris. Un giorno mi sono imbattuto in questo video su Facebook. Il video mostrava Josh nell'atto di lavare delle pentole. Il post si intitolava:

"Yesterday performing in a musical, Today a potwash"

(Ieri mi esibivo in un musical, Oggi lavo le pentole).

Il post rifletteva sul fatto che oggi sui social media mostriamo una realtà perfetta. Specie noi attori. Tentiamo con ogni mezzo di mostrare al mondo che si ha bisogno di noi. La realtà è che noi abbiamo più bisogno della nostra arte di quanto ne senta il bisogno il mondo oggi (attenzione, ho detto "senta"). E, spesso, la nostra condizione è tristemente intermittente e può arrivare quel momento della vita in cui si ha bisogno di un secondo lavoro. E, diciamocelo, ci vergognamo. E abbiamo anche paura. Perché nell’immaginario comune noi artisti facciamo una vita bellissima, viviamo in case da sogno e abbiamo macchine meravigliose. Non dimenticherò mai le mie due ex-compagne di liceo che vennero a vedere Lady Day al Gran Teatro a Roma tanti anni fa (dove io interpretavo Amos). Rimasero stupite vedendomi andar via su un SH50 (un motorinaccio scrauso) e mi dissero: "noi credevamo che avessi l’autista e che ti muovessi in limousine". In limousine. Proprio.

Il video di Josh mi ha fatto sentire bene. E vedendo la cura con cui lavava quella teglia mi sono detto che la creatività prende la forma del recipiente in cui la mettiamo, come l'acqua. Può inondare un palco o stare in una pentola. O in una tazza di tea.

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Commenti

  • Susanna (mercoledì, 21. marzo 2018 22:12)

    Ciao sempre più stima. Sono mamma di un'attrice soprano a londra in cerca di opportunità. Vi accomuno perchè gli artisti veri hanno sentimenti , hanno cuore e i vostri occhi che si illuminano quando siete sul palco illuminano nel contempo tutti quelli che vi circondano. Grazie di esistere, il mondo è meno buio .

  • Laura (giovedì, 22. marzo 2018 00:04)

    Non credo ci sia niente da vergognarsi nel fare un lavoro onesto, qualsiasi esso sia, in qualsiasi posto del mondo. Non c'è niente da vergognarsi nell'aver deciso di rimboccarsi le maniche invece che arrendersi. Se poi questo non solo ti dà da mangiare ma ti insegna anche qualcosa, se attraverso una nuova esperienza riesci a crescere come persona (al di là di aver imparato che ci sono 240 tipi diversi di tè), se incontri persone con cui condividere anche solo qualche passo della tua vita, è il lavoro migliore che si possa trovare, qualunque esso sia.
    PS: a discolpa del tipo che ti ha chiesto la cioccolata calda con l'acqua: esiste veramente, ovviamente per la cioccolata extra-dark. Può sembrare raccapricciante, ma per chi ha problemi col latte è un'ancora di salvezza!

  • Anna (giovedì, 22. marzo 2018 10:10)

    Non so quanti minuti ho impiegato a leggerti, ma per quel tempo il tuo racconto mi ha rapita. Inoltre ho imparato alcune cose sul tea che proprio non avrei Immaginato

  • Fabiana (giovedì, 22. marzo 2018 11:20)

    una testimonianza ben scritta del momento..e viene sicuramente voglia di leggere il seguito!! devo dire anche che mi ha tirato fuori ricordi di quando da ragazza facevo la cameriera al Fonclea...e all'osteria dell'ingegno a piazza di pietra. Quell'alone di vergogna che circondava il cameriera...lavoro che fatto bene racchiude pazienza competenza passione e spirito di gruppo. Ecco la sensazione di far parte di un gruppo di una famiglia allargata, non l'ho più ritrovata nei lavori normalmente meglio "accettati" dalla società. Fabiana

  • Zappa Daniela (venerdì, 23. marzo 2018 05:08)

    Sono felice di viverti leggendo ciò che scrivi . Sei meraviglioso qualunque cosa tu faccia . La passione traspare in ogni tuo atto . Recitare, fare il commesso o scrivere . Non e’ importante quello che fai ma seu coinvolgente e traspare quello che sei . Io non so scrivere , non so recitare ma ho fatto la commessa 3
    20 anni ??

  • Rhuna (venerdì, 23. marzo 2018 10:33)

    Bravo! Solo una piccola correzione: il tè inglese esiste!! Tregothnan Estate in Cornovaglia, il primo produttore di tè tutto inglese, ovviamente costosissimo!! A seguito di ciò, ci hanno provato anche in Scozia ed è nata la piantagione di Dalreoch, anche questo tè se vuoi comprarlo devi accendere un mutuo ma il tè si sa, è la bevanda dei Re!

  • m. (domenica, 08. aprile 2018 20:08)

    Penso sempre più che sei un ragazzo straordinario. So che arriverai dove vuoi, ne sono certa, faccio il tifo per te.

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